di Dalia Gallico

Un Popolo di Volti

di Ernesto Teccani

Un Popolo di Volti

di Ernesto Teccani

dal 12 Dicembre 2009 al 6 Gennaio 2010

dal 12 Dicembre 2009 al 6 Gennaio 2010

PALAZZO REALE - Piazza Duomo, 12 - 20122 Milano

Descrizione

Il fatto storico da cui quest’opera monumentale prende avvio è il funerale di Stato delle vittime della strage di Piazza Fontana, nel Duomo di Milano, il 15 dicembre 1969. Treccani inizia il dipinto pochi giorni dopo la strage. Impiegherà quasi sei anni per portarlo a termine, in una lenta e meditata stratificazione di immagini.
Un popolo di volti è un’opera corale, un’infinita galleria di ritratti di persone reali. All’enorme tela si affacciano amici dell’artista, persone note e persone comuni, incontrate in quegli anni, accomunate dall’ansia di giustizia, dal desiderio di pace. Il giorno del funerale, una folla enorme si raduna in Piazza del Duomo. Nella cattedrale non ci può essere posto per tutti. Camilla Cederna, in un lungo articolo pubblicato su “L’Espresso” il 21 dicembre così parla dei morti: “Ad avvolgerli per l’ultima volta, calando spessa sulle bare è stata la loro grigia nebbia padana che fin dall’infanzia d’inverno li ha sempre accompagnati. Ad avvolgerli è stato il silenzio, compatto, quasi monumentale, sulla piazza che a mezzogiorno era quasi nera, non una luce all’ingiro, grappoli oscuri di gente alle finestre e sui balconi, spento il grande albero di Natale, bassissimo il cielo”.
Treccani non ha voluto dipingere lo strazio della strage, lo strazio del funerale. Ha rovesciato il punto di vista. Quel giorno, tutti guardavano verso il sagrato. In questo dipinto, invece, sono le vittime a guardare.
E nell’elegia del colore di questi volti, rinasce la speranza. Quel giorno erano in tanti. Donne e uomini fragili, nella commozione del momento. Eppure, stretti l’uno all’altro, senza saperlo, formavano un grande muro. Un muro di colore, contro il nero di quella notte calata improvvisamente su Milano.

Quest’opera è una potente testimonianza della fede di Treccani nella poetica del volto. Il volto, per un artista che ha sempre creduto nelle valenze dialogiche dell’arte, è la necessaria premessa per entrare in contatto con l’altro: “Dipingere un volto è fare conoscenza ravvicinata”, ha scritto. Il ritratto è il modo per consegnare alla memoria il fremito del volto dell’altro, per strapparlo dal buio.
Non a caso, quindi, Treccani, per tramandare la memoria di un dolore collettivo, ha chiamato un popolo di volti. Il volto è il luogo dell’individualità, l’impronta più forte dell’io. La logica degli esecutori di una strage procede esattamente all’opposto. La strage è la negazione dell’individuo, chiamato a morire per caso. La sua vita, unica e irripetibile, è bruciata cinicamente, come materiale senza valore. Una condanna a morte inappellabile, dettata solo dalla casualità di una presenza, in un certo luogo, in un preciso momento. Come alle 16.37 di quel 12 dicembre 1969. Il caso eletto a fato. La storia del singolo bruciata da una tragica cronaca destinata a farsi Storia.
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